Un giretto di un paio di settimane tra Tokyo, Kyoto, Nara, Osaka, Hakone.
Oggi ci sono voli diretti dall’Italia per il Giappone e, quasi sicuramente c’erano anche quattro anni fa, ma all’epoca scelsi il famigerato Milano – Mosca – Tokyo, con un assurdo scalo di 6 ore abbondanti che fui obbligato a trascorrere nei desolati duecento metri di gate di un desolatissimo aeroporto russo, sarebbe stato carino poter uscire e magari fare un giretto a Mosca.
Tokyo
Atterro il giorno dopo a Narita, uno dei due aeroporti di Tokyo, quello fuori città. Ero talmente organizzato bene che avevo prenotato un pocket wifi e il Japan Rail Pass. Da quel momento il primo mi avrebbe garantito una connessione ad internet illimitata ed ultraveloce per il mio iPhone 3GS ed il secondo la possibilità di utilizzare qualsiasi tipo di treno sul territorio, anche i velocissimi shinkansen. Il pocket wifi l’ho trovato indispensabile, il pass per i treni è comodo solo se si fanno diversi spostamenti e usando le linee veloci, se ne può fare a meno se ci si muove poco o se si usano treni normali (che sono comunque più veloci ma soprattutto più puntuali rispetto a quello a cui siamo abituati in Italia).
Nonostante la stanchezza dal viaggio trovo abbastanza facile orientarmi all’interno dei diversi piani dell’aeroporto e riesco a procurarmi anche la famosa Suica Card, gemella della Pasmo. Si tratta di una scheda ricaricabile grande come una carta di credito che si usa appunto per accedere ai tornelli delle linee della metropolitana ma anche per i numerosissimi distributori automatici o per fare compere nei kombini, piccoli market sempre aperti.
Raggiungo Tokyo in circa un’ora e, anche se scendo in anticipo di una fermata dalla metro, riesco facilmente a trovare l’hotel che mi ospiterà per le prime due notti nella grande capitale. Si tratta di una struttura di livello medio, situata tra Ginza e Tsukiji, a pochi passi dal mercato del pesce più famoso del mondo. Sapevo già che le stanze hanno metrature davvero piccole ma sono più che sufficienti ad ospitare i miei ridotti ingombri, sia come individuo che come bagaglio. All’interno della camera c’è qualsiasi tipo di accessorio, dal microonde alla lavatrice, dallo stira pantaloni Foppapedretti ad una piccola piastra. Si tratta chiaramente di un business hotel, strutture che hanno un ottimo rapporto qualità/prezzo. Finalmente faccio il mio primo incontro con il washlet: la tavoletta del wc più tecnologica ed evoluta dell’universo conosciuto! Questa favolosa tavoletta non solo si può riscaldare ma include una serie di funzioni fantastiche come ad esempio una melodia per coprire i rumori che si generano nelle sedute più impegnative e un getto d’acqua che fa da bidet, ogni cosa ovviamente regolabile, sia la temperatura della tazza, quella dell’acqua, il getto e anche il volume della musichetta. Insomma, è il wc che usano le civiltà evolute che vivono su altri pianeti.
Per fregare il jetlag ma soprattutto per la mia solita super curiosità pochi minuti dopo esco dall’hotel per fare un giro nei dintorni. Vago senza meta per Ginza e Tsukiji, per l’animato mercato del pesce ovviamente è tardi ma la zona è piena di micro locali che vendono cose buonissime. Mi imbatto nel teatro Kabuki-Za, una piccola perla di architettura in mezzo ai giganti palazzoni, visito il giardino Hama-Rikyu che con la sua tranquillità mi riporta ad altre epoche, poi il Palazzo Imperiale e il giardino orientale. Sembra di viaggiare nel tempo, tra un sito storico e l’altro ci sono moderne costruzioni proiettate verso il futuro ma allo stesso tempo ai super tecnologici cartelloni che indicano i lavori in corso viene quasi sempre affiancato un omino con la sua divisa (qui sono fissatissimi per le divise) che segnala la deviazione con movimenti precisi e quasi rituali.
È banale, vuoi per la stanchezza vuoi perché preso dal camminare non ho notato che la giornata volgeva al termine, ma la prima cena è a base di sushi, in un ristorante medio di una catena abbastanza nota a pochi metri dall’albergo in cui dormo (nei giorni successivi proverò tante e diverse portate della cucina giapponese, limitando il sushi alle merende, agli spuntini e a qualche colazione, si vabbè limitando). Sono seduto al bancone davanti ai preparatori, alle loro spalle una grossa vasca con qualche pesce ancora vivo, davanti a me, dall’altra parte del vetro, i filetti di pesce. Quando mi vengono presentati i pezzi e inizio a mangiarli seguendo il loro ordine inizia la magia, ho mangiato sushi in diverse parti del mondo e di diverso livello, niente, è scontato dirlo, ma non c’è davvero niente in comune, neanche l’aspetto estetico.
Il giorno seguente mi sveglio abbastanza presto da vedere le ultime battute dell’immenso movimento che si svolge durante la notte al mercato del pesce e poi mi avventuro in metropolitana verso Odaiba, il complesso di isole artificiali nella Baia di Tokyo. Ed eccomi di fronte ad una riproduzione a grandezza naturale di un RX78-2, il robottone Gundam! (qualche anno dopo sarà sostituito da un ancora più fico RX0 Unicorn). Proprio di fronte al robottone visito il primo dei numerosi negozi e negozietti di modellismo che spezzetteranno queste due settimane. La giornata è grigia e ogni tanto arriva qualche goccia di pioggia, l’atmosfera guardando i ponti che collegano le varie isolotte è ancora più surreale, mi imbatto quasi per caso in una replica della Statua della Libertà che domina il Rainbow Bridge, nei canali passano imbarcazioni di diverso tipo, un signore con un sup e una cosa non identificata che ricorda il Nautilus.
Gli indirizzi a Tokyo e, in generale, in Giappone non sono indicati come sono indicati da noi, ma grazie ad una mappa che mi ero disegnato e al GPS del mio vecchio e scassato iPhone 3GS riesco a raggiungere un paradiso di nome Tamiya Playmodel Factory. Si tratta proprio di quelle due stelline bianche, una su sfondo rosso e una su sfondo azzurro, che fin da bambino con le Mini4wd e successivamente da ragazzino con i campionati RC 1/10 elettrico riempivano i miei pomeriggi da giovane modellista. Sono solo al secondo giorno di viaggio e ho in programma di spostarmi in altre città, quindi ne esco dopo mezz’ora acquistando solo un modellino in edizione limitata con l’orso Kumamon alla guida e una magliettina ufficiale.
Verso l’imbrunire visito la Tokyo Tower, una versione arancione e bianca della francese Torre Eiffel, salgo fin dove si può salire e assisto anche ad un concerto acustico ma quello che più mi affascina è il panorama che si vede da quell’altezza, sembra un film di fantascienza.
Tornando verso l’albergo si è fatto tardi e inizia a scendere qualche goccia di pioggia, mi rifugio in una piccola locanda/corridoio dove il menù è in giapponese e senza fotografie ma grazie a quattro parole che leggo dal frasario e alla estrema gentilezza del magrissimo uomo di mezza età che mi accoglie riesco a mangiare un ramen buonissimo.
Il mattino dopo, senza fretta, mi reco alla stazione dei treni per prendere il treno proiettile fino a Kyoto. Durante il viaggio osservo la velocità sul display, si toccano punte vicine ai 300kmh, nulla che l’Alta Velocità italiana non possa fare, la sostanziale differenza sta nel fatto che se sul tabellone c’è scritto che il tuo treno raggiungerà Kyoto alle 10:00 tu a quell’ora metti piede nella stazione d’arrivo, non alle 10:02 e neanche alle 10:05, ma alle 10:00 (e questa estrema puntualità si ripeterà con gli altri treni, sia shinkansen che normali, che prenderò nei giorni a seguire).
Pochi minuti per raggiungere l’albergo e lasciare lo zaino che sono subito in giro per la vecchia capitale del Giappone. L’impatto è subito differente da Tokyo e non sto parlando ovviamente della differenza di dimensioni e popolazione, si sente proprio nell’aria che questa città ha un’altra anima.
La prima meta è il Palazzo Imperiale, c’è qualche minuto di attesa prima che inizino le visite guidate all’interno del parco e del palazzo. Qui la storia la vivi proprio camminando tra l’architettura pulita e caratteristica delle strutture, circondate dagli alberi, avvolte nel silenzio. La visita guidata in realtà è abbastanza libera e ci si può prendere tutto il tempo che si vuole per ammirare, fotografare e filmare. Passo diversi minuti a spiare da fuori l’interno dei palazzi e immaginare come poteva essere la vita quando erano abitati.
Lasciato il Palazzo Imperiale mi dirigo, sempre a piedi, verso il Daitoku-Ji, un complesso di 24 templi immersi in uno stupendo giardino giapponese circondato da alte mura. Come al solito non guardo l’orologio e ci arrivo a metà pomeriggio, prossimo all’orario di chiusura, ed è ancora più bello perché non incontro anima viva, solo alberi e templi con i loro vialetti ben conservati, zen.
Quando verso l’imbrunire inizio a camminare in cerca di un posto dove cenare attraverso senza farci troppo caso il ponte sul fiume Kamo e mi ritrovo nella parte sud di Higashiyama. Il quartiere di Gion che fino a qualche anno fa usavo nel videogioco GranTurismo 5 come set fotografico è ora tutto attorno a me (si, proprio come la pubblicità Vodafone). Sono talmente affascinato da tutto quello che mi circonda che mi dimentico di mangiare. Credo sia una delle zone in cui la storia della città è meglio espressa e conservata, tra le stradine intravedo anche due geisha con la loro particolare camminata limitata. Trovo lo Shoren-in, cala il buio ed io sono ancora a passeggio tra templi e stradine illuminate dalla fioca luce delle lanterne, mi avventuro anche nella parte collinare e scopro altri templi.
Decido di tornare indietro perché inizio ad avere davvero fame e, tornato al di qua del ponte, trovo un ristorante in un semi interrato in cui inizio ordinando timidamente del sashimi e poi strafogo di tutto e di più. Tornando in albergo noto che al secondo piano c’è una zona lavanderia gratuita per gli ospiti, in questa zona ci sono le famose macchinette che vendono di tutto, dalla bibita al piatto pronto di pollo e patatine fritte.
Il giorno successivo la direzione è ovest, verso Arashiyama. Dalla stazione non ci va molto a raggiungere quella che è la copertina della guida Lonely Planet di quest’anno, la foresta di bambù, nonostante ci sia tantissima gente il percorso attraverso le altissime piante è piacevole. Ci sono poi diversi sentieri che si diramano nella natura, ne scelgo uno che va in salita che, dopo qualche rampa mi porta a godere di una vista mozzafiato sul fiume Katsura e su una vallata piena di alberi verde scuro dai quali sbucano qui e lì piccoli edifici.
Sempre nei pressi di Arashiyama si trova il parco Okochi Sanso con il suo giardino e la sua villa, anche qui si viene proiettati in un’altra epoca e, saldo su una collinetta, si arriva ad una specie di osservatorio costituito da una piccola struttura in legno dalla quale si vede tutta la città in lontananza.
Tornando verso la città mi avventuro nel parco che custodisce l’affollatissimo Kinkaku-ji, il tempio con il padiglione d’oro, particolarmente bello se guardato dal laghetto in cui si riflette.
Per la mattinata del terzo giorno il punto cardinale è sud, che a Kyoto vuol dire Fushimi Inari-taisha, il santuario shintoista di montagna con i suoi numerosissimi torii rossi. Nonostante questi posti siano sempre estremamente affollati non c’è mai caos o la sensazione di fastidio tipica delle attrazioni più famose.
Nel pomeriggio invece attraverso tutta la città per recarmi a nord di Kyoto, più precisamente il comune rurale di Kurama dove sorge il tempio Kurama-dera. Per raggiungerlo c’è un bel sentiero in salita, visto il mio livello di allenamento, una piacevole passeggiata di semi-montagna.
Senza un minimo cenno di stanchezza prima di cena ne approfitto per una passeggiata nella Via della Filosofia, il Tetsugaku-no-michi che si trova nella parte nord di Higashiyama.
Ci va poco meno di un’ora e mezza per raggiungere Nara, a sud di Kyoto. Nara è famosa per molte cose, certo su internet compaiono più che altro foto dei piccoli cervi, ma c’è di più, molto di più. All’interno del grande tempio orientale Todai-ji fa bella mostra di se un Buddha di 14 metri ad esempio per poi proseguire con tante strutture degne di nota come l’accoppiata di templi Nigatsu-do e Sangatsu-do, il grande santuario Kasuga Taisha, i “portoni” Nino-Torii e Ichi-no-Torii. Insomma c’è davvero tanto da vedere e tanto da passeggiare, in una di queste passeggiate in un boschetto trovo una piccola locanda che serve un ramen con dei funghi giganti buonissimi dentro, probabilmente se non l’avessi trovata mi sarei mangiato uno dei simpatici cervi.
Non c’è un vero e proprio motivo per cui ho scelto di proseguire il mio giro fino ad Osaka visto che nessuno me l’aveva particolarmente consigliata. Anche facendo qualche ricerca oltre allo stiloso castello Osaka-Jo, all’altissimo palazzone Umeda Sky Building e all’area commerciale di Dotonbori non c’è molto. Beh capito nella zona del castello in concomitanza con qualche festa o occasione particolare perché trovo il parco pieno di persone in costumi tradizionali, altre con armature dettagliate da samurai, qualche ninja, una piccola rappresentanza dell’esercito e dei vigili del fuoco con le loro mascotte manga ma soprattutto un torneo di judo di ragazzini che se le danno di santa ragione. Una delle cose che la guida descrive come attrattive di Osaka e di questa regione è il cibo e grazie al fatto che in questi giorni sto camminando molto ne provo di diversi tipi, dai calamari cotti con la fiamma ossidrica a un’infinità di tipi di spiedini di carne. A Osaka trovo anche un interessante negozio di modellismo, con prezzi più bassi rispetto a quelli di Tokyo (che sono comunque convenientissimi rispetto all’Italia) e questa volta non mi trattengo e ne esco fuori con un modello radiocomandato di Honda CRX Tamiya in scala 1/10, come quelli con cui correvo in passato (uno scatolone di circa 50cm quando il mio zaino è poco più lungo).
Dopo la metropoli del futuro, la metropoli del passato e la metropoli del cibo faccio tappa ad Hakone, una tranquilla cittadina di montagna, famosa per le numerose fonti termali. Sono al corrente del fatto che a causa dei miei tatuaggi non potrò aver accesso a molte di queste strutture e allora decido di prenotare una camera in una locanda tradizionale che ha all’interno una sua vasca termale privata, dopo tanti giorni nelle confortevoli ma microscopiche camere dei business hotel ora mi trovo in una camera in stile con il tatami e ripeto, sul terrazzino con vista montagna, una vasca termale tutta per me. La voglia di immergermici subito è tanta ma preferisco rimandare alla fine della giornata. Esco e inizio a camminare, c’è un trenino da qualche parte per raggiungere le altre cittadine ma al primo tentativo non lo trovo e allora risalgo a piedi, tornante dopo tornante, immerso nel verde, tutta la montagna. Il clima è umido e queste strade, con la canalina laterale, ricordano quelle dove Takumi Fujiwara driftava con la sua 86 nel manga Initial D. Passo davanti a qualche impianto termale e scorgo il cartello dedicato ai tatuaggi, poco male.
Tornato in stanza preparo un sencha, ovviamente senza zucchero, faccio una doccia e poi vado sul terrazzino coperto, apro uno dei due grossi finestroni in legno e mi immergo nella vasca godendo della vista delle montagne, cade qualche goccia e sale un po’ di nebbiolina, l’atmosfera è ancora più rilassante.
La mattina seguente il tempo non migliora, dopo la colazione in stile tradizionale (un pesce grigliato, riso bianco, immancabile zuppa di miso e un sacco di altre cose e non sono neanche le otto del mattino) parto alla volta della Hakone Ropeway, un complesso di funivie e trenini che scalano il Monte Hakone e dal quale dovrebbe vedersi una vista fantastica e ravvicinata del maestoso Fuji. Per fortuna il maestoso monte l’avevo visto in lontananza da Tokyo e dal treno tra Tokyo e Kyoto perché in questa giornata il cielo e le nuvole non permettono una visibilità superiore al centinaio di metri. Si scende dall’altro lato e ci si ritrova sul lago Ashino-ko. Pranzo in una specie di grande self-service guardando la nebbia che si poggia sulle acque del lago in attesa che arrivi l’imbarcazione Moto-Hakone che mi porterà a sud per chiudere il cerchio. La traversata è nella nebbia, non si vede quasi niente, all’arrivo si solleva il poco necessario per vedere bene il grande torii rosso piantato nell’acqua, alle sue spalle un gran numero di cedri e di pini nascondono il santuario Hakone Jinja. Se prima questa nebbia mi ha impedito di vedere il Fuji ora diventa una importante comparsa nelle fotografie al torii e al tempio, dando un tocco di magia in più. Un autobus preso quasi per caso mi riporta dalle parti della mia locanda, inutile dirlo, replico la sequenza della sera prima ma questa volta sono stanco e quasi mi addormento nella vasca bollente.
Prima di tornare in Italia ho ancora due giorni da passare a Tokyo, questa volta cambio zona, da Tsukiji alla più animata Shunjuku, tanto poi con la metro mi muovo comodamente verso ogni zona della città. In questi due giorni alterno visite di cultura come al Meiji Jingu a quelle più frivole come Takeshita Dori e il paradiso di giocattoli di Kiddyland. Un salto all’incrocio di Shibuya e una foto alla statua di Hachiko. Il Senso Ji, la altissima Tokyo Sky Tree, il sumo ad Arashio Beya. Gli sterminati negozi di manga e anime ad Akihabara, altri modellini e infine il tempio buddhista Bentendo a Ueno.