data: 29.06.2024
distanza: 175km
dislivello: 5000D+
biciclette: Bianchi Specialissima Pro, Cervélo Caledonia5
ciclisti: Giannino, Ema
Se non conosci bene una persona, per il compleanno, non sai mai cosa regalare. Ma si da il caso che io Emanuele lo conosca bene e sappia da quanti anni desiderasse chiudere questa maledetta gara! E così, qualche mese fa, il mio regalo è stato fargli sapere che quest’anno lo avrei accompagnato per tutte e quattro le salite di questa interminabile GranFondo francese.
Ci siamo preparati ed allenati, con un unico obiettivo: finire. Abbiamo organizzato tutto al meglio, compresa la casa sulla linea di partenza. Poi, a pochi giorni dall’evento, arriva la comunicazione che la gara si sarebbe tenuta un giorno prima, causa elezioni. Questo ha sballato tutta la nostra logistica, costringendoci a una ricerca incredibile di una casa, trovata in extremis a Les Deux Alpes, a 40 minuti dal luogo della partenza Le Bourg d’Oisans.
Ci siamo quindi svegliati molto prima del previsto e, anziché preparare con calma le bici in casa e uscire all’ultimo minuto, le abbiamo caricate nell’Avenger e ci siamo diretti in direzione di un affollato, sconnesso e fangoso parcheggio. Il cielo era nuvolo e mancava un sacco di tempo alla partenza. Ci portiamo poi in griglia, mentre le griglie precedenti alla nostra già partivano.
Sono da poco passate le otto quando attraversiamo la linea della partenza, non si scherza più. Un lungo serpentone di ciclisti, sostenuto dal pubblico a bordo strada si inizia a muovere in direzione delle montagne, coperte di nuvole marroni.
La prima salita da affrontare è il Col du Glandon, una salita lunga ma che non dovrebbe essere troppo dura, o almeno questo è quello che mi aveva detto Ema, che questa gara l’ha già fatta tre volte. Salgo su regolare, ho scelto di equipaggiare la mia Specialissima con un misuratore di potenza più per riuscire a gestirmi che per avere una statistica in più. Iniziano i primi drammi di persone che lasciano la colazione a bordo strada e di altre che ti superano a velocità doppia per poi trovarli poco dopo piantati, e siamo solo alla prima delle quattro salite di giornata. Il paesaggio, prima chiuso, si apre poi su un enorme lago verde e su altre cime, tutte circondate da nuvole. Una volta in cima a 1924m arrivano le prime gocce d’acqua, decidiamo di indossare subito la mantellina e scendere giù. Discesa da affrontare in mezzo a un sacco di altre persone, non tutte abilissime, scelgo la prudenza, Ema che la conosce bene va avanti.
Inizia poi uno dei tratti a parer mio più brutti del percorso, il lungo collegamento che porta fino all’attacco della seconda salita di giornata. Fortunatamente non si è soli, basta trovare un gruppetto che fa un’andatura adeguata alla propria e tenerlo per tutto il tempo. Questo nella teoria, la realtà è ben diversa, non si ha a che fare con dei professionisti. C’è gente che crea buchi da ricucire, altri che da un momento all’altro si ritrovano per terra e rischiano di tirare giù tutti gli altri e tante altre belle cose rischiose. A tutto questo si aggiungono le prime folate di vento forte e un po’ di pioggia.
Breve sosta al ristoro, dove già alcuni partecipanti si avviano al bus dei ritirati e si riparte, poco dopo inizia la salita del Col du Télégraphe, che abbiamo già fatto un paio di volte. C’è un caldo umido degno del sud est asiatico, sole e pioggia si alternano, la piega in carbonio della mia bici inizia a macchiarsi di terra marrone, così come tutto il resto. Ema parte subito forte, io guardo i watt e continuo regolare. Supero diverse persone, con alcuni scambio qualche parola, con altri faccio qualche pezzo collaborando, sempre passando dalla pioggia al sole e dal sole alla pioggia. Verso metà salita inizio a vedere una maglia che conosco, uguale alla mia, è Ema. L’idea di farci le maglie personalizzate, in questa come in altre occasioni, si rivelerà fondamentale per ritrovarci. Proseguiamo insieme ma lui inizia a lamentare un po’ di crampi. Raggiungiamo i 1566m di quota dell’arrivo e facciamo una breve pausa. Iniziano a manifestarsi alcuni demoni del passato. Qualche minuto di esercizi, un po’ di cibo al ristoro, ripartiamo, con calma ma ripartiamo, ci aspetta la parte più dura.
La salita al Col du Galibier è lunga e in alcuni tratti dura, questo già in condizioni normali. A questo bisogna aggiungere la pioggia, inizialmente leggera e quasi piacevole, man mano che si sale di quota diventa invece forte e accompagnata da raffiche di vento. Siamo costretti a fermarci e indossare le mantelline, in salita a fine giugno. In alta montagna non si scherza. La situazione è difficile e, a peggiorarla, arrivano dei forti boati, dei tuoni minacciosi che fanno pensare che la situazione potrebbe ancora peggiorare, non so in che modo ma potrebbe. Quando mancano poche centinaia di metri alla cima c’è la deviazione, impossibile procedere verso il Colle, si passa sotto la stretta, fredda e buia galleria. Inizio ad avere i primi segni di cedimento, che si amplificano quando mi trovo ad affrontare la discesa verso il Col du Lautaret con pioggia intensa, vento forte e in mezzo a tantissime altre persone che non sempre controllano al meglio la propria bici. Grazie freni a disco, grazie Pirelli, grazie Specialissima, grazie prudenza. Arrivo al Lautaret e scorgo Ema accostato dietro una baita che trema dal freddo, come me. Entriamo nel grande bar per prendere qualcosa di caldo e decidere il da farsi. Dentro la situazione è tragicomica, pieno di altri ciclisti come noi, molti dei quali con addosso degli accappatoi, senza scarpe e maglietta che aspettano il bus per ritirarsi. In TV la prima tappa del Tour de France. Tempo di bere un tè caldo e decidiamo di continuare, si scende, in bici.
Usciti dal bar si torna al freddo e alla pioggia ma, fortunatamente dura poco, la discesa che dal Lautaret riporta verso Bourg d’Oisans inizia a mostrare un po’ di sole e l’asfalto è asciutto. Il vento è comunque forte, Ema va avanti, io scendo più prudente ma senza frenare troppo. Dalla fine della discesa inizia un lungo tratto, tortuoso e pieno di gallerie, con qualche strappetto. Sono rimasto solo, ma la botta d’umore data da quei due raggi di sole me lo fa dimenticare. Il ciclocomputer Garmin inizia a dare segni di cedimento e a indicare le pendenze a casaccio, mi era già successo in Sicilia quando avevo preso tanta pioggia. Leggo la notifica sullo schermo che Ema è riuscito a passare al cancello orario e ha iniziato l’ultima scalata. Mi fermo un secondo a bordo strada, via la mantellina, mangio l’ultima barretta e riparto per la mia cronometro personale, testa bassa e menare, ignorando i lamenti della catena sporcata dalla pioggia terrosa e con più di 140km e quasi 4000 metri di dislivello nelle gambe.
Riesco anche io a passare il cancello orario e inizio la salita all’Alpe d’Huez, con il Garmin che segna pendenze negative tipo -3% e -6% quando sono sulle prime rampe che so bene essere al di sopra del 10%. Il fatto di aver già fatto questa salita in passato e di averla fatta qualche volta sui rulli mi da tranquillità, nonostante il nervoso per i dati non corretti. Il clima è sempre incerto, piove, torna il sole, le nubi, piove di nuovo, non si capisce niente. Salgo su con un misto di nervoso e gioia, la stanchezza e i dolori si amplificano ma ormai sono qui e quei VENTUNO tornanti distribuiti su tredici chilometri so che in un modo o nell’altro li porterò a termine. La strada ricomincia ad essere aperta al traffico veicolare, ma per fortuna è un traffico rispettoso. Sono a metà salita quando a bordo strada vedo un banchetto con una signora con delle bottiglie verdi, eau et menthe mi dice, io le rispondo con un mega merci! Riparto al volo, continuo a superare gente più piantata di me, non guardo più la quota e la pendenza, sono dati compromessi, mi concentro solo sulla memoria che ho di questa epica salita e sui watt. Poco dopo aver preso l’ultimo gel che mi ero tenuto per i cinque chilometri finali, a borracce praticamente vuote intravedo una maglia che mi è famigliare, è Ema, con la testa china sulla sua Caledonia5, che procede, pedalata dopo pedalata. Gli urlo da lontano, non mi sente, allora lo affianco e gli dico “dai che la portiamo a casa!”. Non fraintendetemi mancano ancora 4km che non sono per niente una passeggiata, poi vedere un sacco di persone che camminano con la bici in mano e altre addirittura ferme a bordo strada non è il massimo. Stringiamo i denti, metro dopo metro, fino a iniziare a sentire il calore del pubblico e la musica dell’arrivo, ci siamo, è fatta! per davvero! Passiamo il traguardo insieme, uno indicando l’altro, sperando di venire immortalati così (spoiler: ci faranno la foto subito dopo senza cogliere quel momento). C’è musica, gente in festa, altri stravolti per terra, ci sono due medaglie con scritto FINISHER al nostro collo. Ci abbracciamo, ora il regalo di compleanno è completo.
Eravamo talmente contenti da evitare il pasta party, tanto che pasta vuoi che facciano i francesi, per dirigerci giù, dove, non avendo la casa strategica abbiamo usato il parcheggio come camerino e garage e siamo ripartiti prima alla ricerca di una omelette, che non abbiamo trovato, in Francia! e poi siamo tornati verso casa.
In conclusione un immenso GRAZIE a tutte le persone che mi sono state vicine e a quelle che anche più di me credevano che l’avrei portata a termine, in particolare a Paolo e Dia.