Era l’undici febbraio duemila venti e, nonostante la temperatura, mi trovavo con Robi e Lele a festeggiare i quarant’anni di quest’ultimo in un locale all’aperto. Un sacco di gente, ognuno con il suo bicchiere di plastica trasparente in mano che sorseggia il suo drink. Al momento di salutare i miei storici amici e riprendere la Vespa per tornare a casa non la trovo, al suo posto una vecchia Alfa Romeo 164 bianca. Non ho le chiavi ma salgo a bordo e si mette in moto, il tempo di fare pochi metri e mi ritrovo bloccato a causa di un auto parcheggiata in doppia fila. Mi viene incontro una Fiat Uno grigio scura, a bordo ci sono alcuni tizi che sbraitano e danno forti accelerate, io resto fermo, non mi è chiara la situazione. Ad un certo punto rompono gli indugi e si fiondano verso di me, stringo forte il volante con le mani, mi preparo all’inevitabile impatto. Non so come, tra le scintille si infilano tra la 164 e le auto parcheggiate, in uno spazio di pochi centimetri, altre scintille. La piccola uno si solleva e viene proiettata alle mie spalle capovolgendosi e continuando la sua corsa per una ventina di metri. Nel volo fuoriescono dall’utilitaria alcune banconote bruciacchiate, sono dollari americani. L’auto si ferma e prende fuoco, la strada continua a essere bloccata, chiudo con cura l’Alfa e mi metto a passeggiare.
Pochi metri dopo mi soffermo su un cartello che pubblicizza un vecchio fuoristrada proprio davanti alle vetrine di una concessionaria. Bagliore di luce, il fuoristrada si materializza al mio fianco nella sua vernice bianca, indifferente ai segni del tempo. Mi sento tirare la giacca da dietro, un bambino poco più alto di un metro mi chiede se lo porto a fare un giro. Mentre mi volto verso di lui non posso fare a meno di notare una ragazza seduta al tavolino di un café che sorseggia lentamente un cocktail. Molto bella ed elegante nel suo vestito rosso, si alza, cammina verso di noi e chiede se si può unire alla macchinata.
Non capisco cosa stia succedendo, la Vespa che scompare, la 164 bianca, la Uno e le banconote in fiamme, ora la jeep, il ragazzino e lei. Mi metto alla guida, anche in questo caso non ho le chiavi ma parte al primo colpo appena impugno il volante. Ci allontaniamo dalla via paralizzata dagli eventi imboccando una stradina buia che, pochi metri dopo, termina in una scalinata. Il marmo ingiallito dal tempo non fa paura alla trazione integrale e, data un’occhiata ai miei passeggeri, attacchiamo la salita con le ruote grasse. Gradino dopo gradino, sobbalzo dopo sobbalzo procediamo in salita, i fari illuminano solo pochi centimetri davanti al muso del mezzo, l’oscurità è totale. La scalinata finisce e con essa anche l’oscurità, sembra di tornare in superficie dopo essere usciti dalla metropolitana, premo sul pedale del freno, quello che abbiamo davanti è irreale. Non è più notte ma giorno, il sole illumina tutto ciò che ci circonda, ma non ci sono i colori. Non siamo più a Torino, non la riconosco. Ci troviamo in una piazza ampia, intorno a noi ci sono diverse persone che passeggiano, chiacchierano, leggono il giornale, tutte in bianco e nero. Il mio sguardo si posa su alcuni cartelloni pubblicitari e sui mezzi pubblici che transitano, ci troviamo negli anni settanta o giù di lì. Un uomo di bell’aspetto in abito elegante, con la pelle scura e la barba curata, bussa al finestrino che scende automaticamente. Veniamo accolti in un inglese molto americano con un tono della voce calda “Welcome guys”.
Apro gli occhi, mi sveglio, è la mattina del dodici febbraio, nella mia casa di Torino. Ricevo il messaggio di risposta da Lele che mi ringrazia per gli auguri che gli ho inviato la sera prima.